Le scuderie di San
Siro Galoppo sono una splendida eredità dell’architettura di inizio ‘900
e fanno parte del comprensorio dell’ippodromo, progettato da Paolo Vietti Violi
e inaugurato nel 1925. Costruite secondo lo stile del cottage inglese o della cascina
normanna, nel tempo la loro estensione è stata gradualmente erosa a favore dell’espansionismo
immobiliare. Oggi conta circa 1000 box, ma - a causa della crisi e di una
politica fiscale severa nei confronti dei proprietari - i cavalli censiti
occupano attualmente circa la metà del potenziale ricettivo.
Le scuderie sono un tesoro
nascosto nelle pieghe della città. Chi frequenta i meeting domenicali o
infrasettimanali dell’ippodromo conosce l’impianto in cui si svolgono le corse,
ma difficilmente ha accesso al backstage. L’area dedicata all’allenamento dei
purosangue, per lo più sconosciuta alla cittadinanza, è un angolo di verde
incontaminato nella zona ovest di Milano e rappresenta un’enclave sospesa nel
tempo e nello spazio. Purtroppo i Milanesi (non per causa loro ma per l’assenza
di una strategia istituzionale di comunicazione capace davvero di integrare il
tessuto urbano) ignorano la meraviglia che si dischiude oltre i cancelli di via
Ippodromo e via Montale, altrimenti si batterebbero per preservare questo
gioiello dagli attacchi predatori del real estate.
A difesa degli ettari di verde che resistono alla
destinazione d’uso per cui erano stati concepiti, da diversi anni è attivo un Comitato animato dagli abitanti del
Quartiere. Ma naturalmente sarebbe opportuno che tutta la Città considerasse il
centro di training un patrimonio urbano da salvaguardare.
In una mattina estiva di pioggia battente abbiamo
scoperto quello che quotidianamente accade in questo angolo agreste di una
Milano sempre più proiettata verso l’Expo.
L’appuntamento con la magia è stato fissato alle 6,00. È questa l’ora in cui arrivano i rider, ovvero i ragazzi incaricati di
montare i cavalli in allenamento, che spesso sono anche i fantini delle corse.
Quando arriviamo c’è chi è in scuderia da almeno un’ora: sono i lad, ovvero gli uomini (per lo più di
grande esperienza) che si occupano di pulire i box e preparare i purosangue per
la loro sessione di training.
Intorno, nonostante la copiosa precipitazione, è un
andirivieni di cavalli disposti in file indiane che delimitano l’appartenenza
all’uno o all’altro team.
Il primo lotto di cavalli Briantea si limita a un’ora di
passo e trotto sotto un capannone coperto: nell’ippica ci si deve ancora
adeguare alle condizioni atmosferiche imposte dalla natura.
Al termine del lavoro di questo primo gruppo di puledri, una buona colazione con caffè
e brioche ci aspetta in un locale selleria adattato ad ambiente ristoro.
Dopo una ventina di minuti di pausa, ci si avvia verso la
seconda uscita, e poi la terza quando finalmente spiove e, terminata la fase di
riscaldamento, ci si dirige verso una delle due piste di allenamento per un
canter, ovvero un buon galoppo, su
fondo sabbioso.
Nel percorso che dai fabbricati delle scuderie porta
verso le piste della Maura e di Trenno è un susseguirsi di scorci vintage, come l’officina dove i maniscalchi piallano i ferri. Su questi vialetti spesso
incorniciati dagli alberi, ha ha camminato Ribot,
ospite dell’impianto negli anni 50.
Qui tutto sprigiona storia e parla non solo di ippica, ma
anche di un tempo in cui la Città era a contatto con le sue emozioni e a questo capitale sapeva
attingere.
La nostra visita si è conclusa verso mezzogiorno con
l’aperitivo più alternativo che avessimo sperimentato, tra i musi dei cavalli
affacciati dai loro box. Davvero non sembrava di essere a Milano!