Definirle eccellenti non basta. Eppure due tra le più belle opere della Pinacoteca di Brera, a Milano, finora erano penalizzate da una collocazione che non teneva conto, tra l’altro, neanche della loro notorietà. Ma finalmente, dopo un intero mese di fermento, da dicembre 2013 un nuovo scenografico allestimento rende merito al Cristo morto di Andrea Mantegna e alla Pietà di Giovanni Bellini, nella collezione dall’inizio dell’Ottocento. Lo ha ideato Ermanno Olmi, regista, sceneggiatore e scenografo, che oggi ha 82 anni. I due dipinti trovano così un’inedita centralità spaziale che, in modo suggestivo, dialoga con la complessità prospettica della rappresentazione figurativa.
L’allestimento valorizza la composizione dei due quadri, con particolare attenzione alla prospettiva, all’illuminazione, agli effetti cromatici e iconografici: il Cristo di Mantegna è sul fondo di una saletta tutta dedicata a lui, anticipato dalla Pietà di Bellini che, vedremo come, è un vero e proprio filtro; il risultato è l’effetto sorpresa.
Pur rispettando i tradizionali valori museali, il progetto non coinvolge soltanto i due capolavori, ma, più in generale, offre un’architettura museale interamente rivisitata, nella quale le opere sono esposte in modo più coerente. In questa temperie, Bellini e Mantegna trovano un bel dialogo che l’allestimento precedente non permetteva: con un attento studio prospettico e d’illuminazione, al di là della tavola di Bellini è posizionato il quadro di Mantegna, per una visione che si concentri sul tema del dolore.
Oltre alle novità estetiche, poi, il progetto preserva le opere per garantirne una maggiore protezione. Il dipinto di Bellini è inserito in una nuova vetrina, mentre il quadro di Mantegna, tempera su tela praticamente senza preparazione, è in una teca più trasparente, con sistemi di controllo microclimatico a distanza.
Una saletta tutta per il Cristo di Mantegna, dunque. È la VII, che prima ospitava ritratti del Cinquecento tra cui quelli di Tiziano, Tintoretto, Lotto, Moroni. Per fare spazio, sono stati tutti spostati nei saloni napoleonici, e inseriti nelle scuole di appartenenza.
Tutte queste attenzioni, in sintesi, danno vita ad una atmosfera suggestiva ed emozionante, che però, per tornare ai due capolavori su cui si concentra il progetto, non dimentica la storia delle due opere, fondamentali per la pittura rinascimentale dell’Italia settentrionale, e quella del loro contesto, il Quattrocento veneto, la cui scuola pittorica è ora presentata in modo più unitario e compatto. In particolare, l’opera di Bellini è più che mai in grado di richiamare luce e colore della pittura veneta.
Da artemagazine.it
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